6 GIORNI DI STEFANO VALENTE. Riflessioni sulla guerra.
di Maria Francesca Stancapiano

Sei giorni è un vero e proprio libro sull’umanità, dove tutto è oltre le regole, le stesse che ci sono dentro a un conflitto (si pensi a dei trattati storici come L’arte della guerra di Tzu Sun).

Sei giorni non è un vero e proprio libro sulla guerra di umanità, sebbene di quella si parli principalmente, con ispirazione reale. Potrebbe essere un posto qualsiasi del mondo ma a noi, comunque, noto. Si potrebbe trattare, anche, di un conflitto interiore. L’intenzione di trattare questa tematica, spiega l’autore, nasce da una lunga riflessione sulla guerra degli anni novanta in Jugoslavia, paese geograficamente molto vicino a noi italiani, come la metafora di tutte le guerre, precedenti e postume. Soprattutto, però, la metafora che un tale evento distruttivo mette l’uomo di fronte agli istinti più primitivi, quasi come se aspettatasse quel momento per esprimersi nell’accezione di se stesso più bestiale e anche più vera.

Sei giorni è un vero e proprio libro sull’umanità, dove tutto è oltre le regole, le stesse che ci sono dentro a un conflitto ( si pensi a dei trattati storici come L’arte della guerra di Tzu Sun); oltre misura.

Un’umanità dispiegata nel voler avvalorare ancora di più la tesi che la guerra e la fame ti rendono una bestia, quasi come se l’uomo riuscisse a stare in equilibrio perfetto solo in guerra. Infatti il protagonista, Jacopo, il sognatore, si esibisce come un funambolo in acrobazie impossibili nel quotidiano toccando linee di confine flebili, in un comportamento bipolare poiché risulta feroce e gentile. Al suo fianco è necessario, stilisticamente e, quindi anche umanamente, un suo opposto: il “Gabro”, il cinico, un compagno volgare e crudele quanto serve per farcela per arrivare fino a casa. Due figure speculari, che non possono, nonostante la diversità dei caratteri, fare a meno l’uno dell’altro.

Di base c’è un’impronta filosofica, ossia che si compie un viaggio e, inevitabilmente, non si può arrivare alla fine sereni. Il motivo è semplice: è come se il lettore si accorgesse che chiunque può scoprirsi un guerriero spietato in un clima altrettanto atroce. “La guerra è sempre” scrisse Primo Levi ne La tregua. Questa è il vero urlo drammatico che i due protagonisti, per mano dello scrittore, danno nell’intero romanzo scritto in prima persona, dove il parlato è comune, non retorico, fedele al contemporaneo. Quello che i due protagonisti raccontano è un’esperienza estrema, non riuscendo, di fatto, a comunicare un qualcosa di così grosso che può creare solitudine. La guerra, come tante altre vicissitudini simili quotidiane, crea uno stato di inadeguatezza al punto da metterci a confronto con noi stessi, in maniera nuda e cruda.

Il titolo rimanda alla durata del tempo che impiegheranno i due protagonisti, non è, però, scelto a caso. Ha un forte richiamo, infatti, biblico: sei i giorni che sono stati necessari alla creazione della terra, creazione avvenuta con fatica. Così come sei i giorni vissuti da entrambi i protagonisti per tornare la via di fuga nel tentativo di tornare a casa. Dopo avviene il riposo, quello che ci porta a fare i conti con se stessi, un momento che porta ad altro.

Un libro che lascia senza fiato e pronti a riflettere su cosa è possibile costruire dopo le nostre guerre.

[da 31 gennaio 2021]


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